TITOLO: PRIMA CHE COMINCI IL GIORNO
AUTORE Raffaele Crispino
1
Faceva caldo in quel compartimento di seconda classe di una vecchia
carrozza ferroviaria, non conforme alle norme internazionali.
Forse il riscaldamento elettrico non funzionava molto bene.
George Stone si sentì infastidito da quel caldo afoso. Tentò
di allentare la presa della cravatta; poi si sbottonò la camicia,
ma neanche così si sentì appagato: non aveva ottenuto
un buon beneficio da quell'operazione.
Allora, infastidito, si alzò dal suo posto e allungò una
mano per accendere la luce nel compartimento.
Era solo lì. Non c'era nessuno. George si guardò intorno
per individuare il posto dove si trovava la manopola di regolazione
della temperatura.
Quando la vide capì perché faceva così caldo: l'indicatore
era posto sul massimo della temperatura.
Con una leggera rotazione della manopola portò l'indicatore sul
minimo. Sarebbe stato meglio escludere il riscaldamento, ma non sapeva
come fare.
Ritornò di nuovo a sedersi, spazientito per non essere riuscito
a far nulla. Incominciò ad osservare ogni angolo di quel compartimento
per cercare qualcosa che lo impegnasse un po'; ora poi che s'era svegliato,
aveva bisogno di un passatempo per far scorrere quelle ore, prima di
arrivare a Roma Termini.
Posò gli occhi su quei quadretti illustrativi che ci sono nei
compartimenti di carrozze per lunghe distanze. Quello che aveva di fronte
a lui doveva essere la raffigurazione di un dipinto della scuola di
Leonardo, ma non era molto nitido, perché la carta era ingiallita.
L'altro quadretto doveva essere stato sostituito da poco, perché
la carta era ancora bianca. George pensò che fosse un dipinto
del Quattrocento.
Era "S. Giorgio e il Drago" di Paolo Uccello".
Il caldo non accennava a diminuire, allora George si alzò di
nuovo per aprire il finestrino e far entrare così un po' d'aria
pura; ma, dopo vari tentativi, rinunciò.
Forse il vetro era incastrato oppure non aveva abbastanza forza per
spingere verso il basso quel vetro così grande.
Pensò che faceva bene a spegnere quella luce, magari la temperatura
sarebbe scesa un po' ; e poi al buio stava bene, si sentiva più
protetto.
Cercò di sistemarsi al meglio mettendo i piedi sul sedile di
fronte. Ora che era in quella posizione si sentiva bene, ma se avesse
saputo che sotto il suo sedere circolava circa 220 volt di corrente,
si sarebbe alzato di scatto.
Passò la mano sul vetro umido del finestrino varie volte, ma
nonostante avesse pulito bene, non si riusciva a vedere quasi niente,
né riusciva a vedere in quale zona della nazione stesse passando
quel treno: erano le 4 del mattino, ed era ancora buio.
All'improvviso George sentì il rumore stridente dei freni. Vide
che la velocità diminuiva celermente, fino a che il treno non
si fu del tutto fermato, mandando nell'aria il suo ultimo rumore.
Poi ci fu solo il silenzio della notte e la staticità delle cose
intorno.
Sembrava che quel treno fosse sospeso nell'aria o che fosse un treno
fantasma e George pensò allora di essere l'unico viaggiatore.
Pensare a questo lo mise molto a disagio, si sentì irrequieto.
Si alzò di nuovo, aprì la porta scorrevole del compartimento
e si trovò nel corridoio: buio e vuoto.
Magari gli altri viaggiatori erano stanchi, o forse non c'erano.
George camminò un po' avanti ed indietro nel corridoio, sperando
magari d'incontrare il conduttore, ma non c'era nessuno.
Allora, sconsolato, ritornò nel suo compartimento.
Sentì il fischio del treno; poi avvertì uno strappo, e
poi un altro, quasi che il treno non riuscisse ad avere abbastanza forza
per riprendere il suo viaggio.
Ma alla fine, dopo aver vinto con relativa facilità la prima
resistenza d'attrito, il treno incominciò a scorrere liscio come
l'olio su quei binari.
Erano passati forse più di cinque minuti, e George aveva chiuso
gli occhi nella speranza di dormire quando sentì il rumore della
porta del suo compartimento che si apriva.
Poi la luce...
Si spaventò.
Poteva capitargli di tutto.
Poteva essere un ladro o poteva essere qualche malintenzionato con quelle
maledette bombolette soporifere che ti riducono ad uno stoccafisso.
Poi si rincuorò.
- Biglietto, signore... - disse il conduttore, cercando di essere il
più gentile possibile, data la circostanza.
- Ah, sì. Certo. Biglietto. - disse George mentre cercava nelle
tasche il biglietto ferroviario.
Il conduttore bucò il biglietto.
Allora c'era qualcuno su quel treno
Allora non era solo. . .
- Oh, capo!!! Il riscaldamento non funziona. Non si potrebbe
-
, disse George con modo gentile.
Quel conduttore poteva anche sapere come staccare il riscaldamento,
o avrebbe potuto trovare una soluzione migliore.
Il ferroviere mise la sua borsa sul sedile, si avvicinò al finestrino,
e dopo aver armeggiato vicino al fermo che blocca il movimento del finestrino,
lo tirò giù con violenza , facendo così entrare
in poco tempo l'aria fresca della notte.
- Così si sta più freschi. - , disse, soddisfatto, il
conduttore.
Poi si avvicinò alla manopola che regolava la temperatura. La
girò in senso orario ed antiorario varie volte fino a posizionarla
poi sulla minima temperatura.
- Alle volte facendo questo movimento si riesce a regolare la temperatura.
Sono dei sensori delicatissimi, e basta un nulla per farli andare in
tilt. - , disse il conduttore che doveva essere molto preparato sul
sistema di riscaldamento dei treni.
L'uomo si avvicinò di nuovo al finestrino, alzò il vetro
fino ad una certa altezza, lasciando solo una piccola apertura per far
entrare l'aria; poi si tolse il berretto e si mise a sedere proprio
di fronte a George.
Aveva la sensazione che volesse aspettare per vedere se era riuscito
a regolarizzare la temperatura, o s'era fermato perché voleva
qualcuno con cui parlare, considerato che George non sembrava particolarmente
interessato a dormire.
- Adesso dovrebbe andare tutto per il meglio. Penso che il regolatore
non era guasto. - , disse il conduttore.
- Già. . . speriamo bene. - ,rispose George, non del tutto convinto.
- Lei forse non sa che il riscaldamento di questo compartimento è
elettrico. . .
- No. Non lo so. E' elettrico? - , chiese George, meravigliandosi che
quell'uomo avesse tempo da perdere.
- Sì, il riscaldamento è elettrico. Queste sono vecchie
carrozze, quasi obsolete; non sono neanche unificate. -
- Unificate? -
- Sì, non sono unificate; capisco il suo stupore. Lei non sa
come siamo organizzati. Le volevo solo dire che questo tipo di vetture
non possono andare all'estero: se ci provassero sarebbero fermate alla
frontiera (Solo le carrozze con sigla UIC X possono viaggiare all'estero,
perché sono conformi alle norme internazionali). Le stavo dicendo
che il riscaldamento è elettrico. Lo sa cosa vuol dire. . . Vuol
dire che sotto il suo sedile passano circa 220 volt. -
George fece il gesto di alzarsi.
- Oh, non si preoccupi. Non le succederà niente. Le resistenze
elettriche sono ben protette. Non è mai morto nessuno. Certo
che potrebbe essere pericoloso. . . Meglio le vetture nuove, quelle
unificate. Quelle hanno il riscaldamento ad aria soffiata. -
- Già. -
George rispondeva a monosillabi. Non è che avesse tanta voglia
di parlare, ma quello che diceva quell'uomo era interessante.
- L'aria calda viene inviata in ogni compartimento attraverso delle
fessure che si trovano sotto i finestrini. Le resistenze si trovano
sotto la cassa, ben lontane dal viaggiatore. -
- Alle volte mi sono domandato come diavolo fa il macchinista a trovare
il percorso di notte, quando deve entrare in una grande stazione. Come
fa a districarsi tra quel fascio di binari e trovare proprio, diciamo,
il binario nove. - , disse George, che già in precedenti viaggi
s'era posto questo problema.
- Oh, il macchinista non fa niente. - , disse il conduttore, abbozzando
un mezzo sorriso.
- Come
come non fa niente. - , chiese, incredulo, George.
- Il tracciato è preparato dalla dirigenza centrale. Lei pensa
che il macchinista abbia tra le mani un volante per girare a destra
o a sinistra? -
- No! Non è così?-
- No. Il macchinista deve solo spingere i motori. Osservare bene i segnali
che vi sono lungo la linea: guardare al verde per correre, al giallo
per rallentare , e al rosso per fermarsi. E poi oggi con il ripetitore
di segnale è ancora più facilitato. -
- Il ripetitore di segnale!
Che cosa è? -
- E' un po' difficile da spiegare. Boh, adesso ci provo. Se lei andasse
a 100 all'ora, impiegherebbe, che so, tot secondi per frenare nel caso
che qualcuno si mettesse sulla sua direzione, se andasse, invece, a
200 Km orari questo tot si dimezzerebbe, se andasse a 300 lei avrebbe
ancora meno tempo a disposizione per effettuare al frenata ed evitare
l'impatto, no.
- Sì, è così. E allora
-
- Allora
c ' é il ripetitore di segnali. In pratica il ripetitore
di un segnale giallo viene inviato in macchina e viene visualizzato
sul quadrante del macchinista, oltre naturalmente ad emettere un suono
caratteristico attraverso la sirena, prima ancora che gli occhi del
macchinista abbiano potuto vedere che il prossimo segnale troverà
giallo. In questo modo lui ha tutto il tempo per iniziare a frenare.
Stiamo naturalmente parlando di treni che hanno velocità superiore
ai duecento chilometri orari. -
- E se il macchinista se ne frega e non frena? -
- E' previsto anche questo. Se il macchinista per esempio supera di
una decina di metri il segnale rosso, sarà lo stesso treno ad
effettuare la frenata. -
- Ma come avviene la trasmissione dei codici? - , chiese George, che
era sicuro che il conduttore avesse una specifica conoscenza del sistema
ferroviario.
- Io sono un conduttore. Dovrei essere molto preparato sui costi dei
biglietti, su i vari sconti etc,etc, ma sono anche un perito meccanico
e m'interesso molto di tecnica ferroviaria; in questi giorni mi sto
preparando per un concorso di Capotecnico nelle ferrovie. -
- Già. Magari è facilitato, essendo già ferroviere.
-
- Neanche per sogno, neanche per sogno. Lei crede
crede che sia
facile . Quel settore è diverso dal mio. Dovrò superare
un esame, e superare anche chi è bene <<ammanigliato>>
. Voglio lasciare il viaggiante; sarà pure affascinante, ma ho
una moglie che mi aspetta a casa. Ad una certa età bisogna saper
rinunciare alla vita avventurosa e dedicarsi un po' più alla
famiglia...ma forse la sto annoiando con queste mie cose. -,
- Oh, no, no. Anzi,
quello che dice è interessante: direi
molto interessante. Sto apprendendo delle cose che prima ignoravo completamente
sul sistema ferroviario .-
- Lei dice?
Ne sono contento.In genere alla gente non interessa
nulla sui vari sistemi del trasporto,a loro basta solo che il treno
<<tiri>>.-disse, soddisfatto, il conduttore.
- Certo però che gliene saranno capitate delle belle, o no? -
- Sì. Ho avuto degli incontri interessanti. -
- Diceva del segnale
del ripetitore. Si chiama così? -,chiese
George, all'improvviso, cambiando discorso, perché aveva visto
un po' di rossore sulle guance del conduttore quando gli aveva chiesto
dei
suoi incontri passionali; magari non voleva parlare
delle
sue avventure amorose.
- Ah, sì.Il ripetitore di segnale. Come le stavo prima spiegando,
la trasmissione dei codici avviene attraverso il binario. In pratica
davanti ad ogni locomotiva c'é un captatore di segnali che, una
volta prelevato gli impulsi di corrente, li invia in macchina, dove
c'è un'apparecchiatura che li codifica e li segnala al macchinista.
-
- Allora il treno potrebbe anche fare a meno del macchinista? -
- Forse. Lei pensa che a questo punto il treno potrebbe essere, diciamo,
teleguidato? -
- Sì. Perché? Non può essere? -
- Sì. In un prossimo futuro
Per questo si vuole introdurre
in Italia il macchinista unico; cioè un solo agente in macchina.
Io non sono tanto d'accordo. Sì, sarà pure vero che si
risparmia, ma se quello deve andare al cesso? E poi la solitudine
Vuoi
mettere. No, non sono d'accordo, l'uomo non è una macchina. Mentre
se fosse teleguidato allora
-
- Sarebbe fantastico. Penso che in un prossimo futuro il treno sarà
già programmato da qualcuno che si trova in qualche ufficio.
- , disse George, facendo un leggero sorriso, e pensando che in fondo
la ferrovia italiana era una gran ferrovia.
- Siamo una gran ferrovia. - , gli scappò di dire ad alta voce.
- Eh, sì. La nostra è una gran ferrovia. Pochi sanno delle
nostre potenzialità. E che noi non abbiamo pubblicità,
non sappiamo vendere il prodotto. Si parla solo di treni che arrivano
in ritardo, di sedili sporchi e di carrozze malandate. Quando partirà
la TAV
-
- La TAV? -
- Sì. L'alta velocità. I tempi di collegamento tra le
grandi stazioni saranno ridotti della metà. - , disse il conduttore;
poi prese la sua borsa, se la mise a tracolla e salutò George.
Se avesse avuto ancora un po' di tempo gli avrebbe potuto parlare di
tante altre cose; gli avrebbe detto che le ferrovie italiane sono le
più sicure al mondo, gli avrebbe parlato del sistema di frenatura,
gli avrebbe detto anche che la quasi totalità delle carrozze
con riscaldamento elettrico, cioè carrozze vecchie ed obsolete,
facevano servizio per lo più al Sud, o in zone non sviluppate
del paese.
La velocità del treno incominciò a diminuire; infatti
si stava entrando in Stazione.
Quando il treno si fermò, George cercò di vedere in quale
stazione si trovava, ma non vi riuscì.
Certo non doveva mancare molto tempo all'arrivo alla stazione di Roma
Termini.
La sosta fu breve: il tempo d'imbarcare due o tre persone.
Erano circa le cinque e trentacinque , quando il treno entrò
trionfante al binario 9 della stazione di Roma Termini.
Una cosa che fa rabbia a quanti viaggiano spesso è che il treno,
magari lungo il percorso tra una stazione ed un'altra accumula ritardi
abbastanza consistenti, e poi quando si trova in prossimità della
stazione d'arrivo mette così tanta
foga e sprint che sembra
quasi voglia
dire "adesso vi faccio vedere io
".
George si alzò, si rimise la giacca, si sistemò per bene
la cravatta. Stava per uscire dal compartimento, quando i suo occhi
si posarono sul regolatore di temperatura. In un gesto di stizza girò
la manopola al massimo ; poi uscì nel corridoio.
Incominciò a sentire dei rumori mentre cercava di guadagnare
l'uscita.
Non era vero che in quella carrozza non c'era nessuno: la gente era
ancora lì comodamente distesa sui divani che continuava a dormire.
Nessuno aveva fretta.
Quando scese dal treno si sentì ancora più solo nel vedere
che in stazione non c'era nessuno.
I suoi passi rimbombavano in quel silenzio.
Se fosse rimasto ancora un 'altra ora lì, sarebbe stato invaso
dalla marea di gente, che a frotte scende dai treni per affrettarsi
ad arrivare in orario nei vari ministeri della Capitale: tutti pendolari,
che non potevano, certo, permettersi di avere una sistemazione stabile
a Roma.
Vide il macchinista che scendeva dalla locomotiva. Ai suoi occhi quell'uomo
aveva perso molto dell'importanza che George, prima, gli dava.
George avanzò con passo calmo.
Girò a destra in via Marsala; ( Lì sotto i portoni c'erano
delle persone che dormivano: barboni o giovani avventurieri, che non
avevano soldi per pagarsi un albergo. ) poi si avviò verso piazza
dei Cinquecento, salì sul bus ed aspettò che partisse.
L'autista arrivò un poco dopo; si mise alla guida ed accese il
motore, ma non partiva: aspettava che si facesse l'orario della partenza.
Quando il bus si fu riempito abbastanza di persone partì.
George scese a piazza di Spagna.
La città era ancora addormentata; di tanto in tanto passava qualche
macchina, e solo qualche bar era aperto.
Si avviò con passo deciso tra le strade adiacenti a piazza di
Spagna. Non c'era nessuno in quelle vie strette, piene di storia, piene
di gente, piene d'amore.
Quando arrivò davanti al portone, citofonò.
Attese un bel po' di tempo.
- Chi è? - , disse una voce roca ed assonnata.
- Uh, mi scusi. Sono George. George Stone. Si ricorda di me? -
- Ma certo, certo che mi ricordo. Adesso ti apro il portone. -
George non sapeva per quale motivo era stato convocato a quell'ora così
insolita del mattino, ma , a pensarci bene, non è che si dovesse
poi meravigliare tanto: gli scrittori, specialmente di un certo peso,
hanno di queste manie.
Quando sentì il caratteristico rumore d'apertura del portone
entrò ed incominciò a salire le strette scale, illuminate
con la luce fioca d'alcune lampadine elettriche.
La porta era ancora chiusa.
George attese un po' anche per riprendere fiato; poi bussò.
- Ah, bene. Sei tu. Sei
George, vero? Entra ... entra. - , disse
Vittorio, mezzo assonnato.
Erano le sei del mattino.
Il giovane George entrò timoroso.
Vittorio accese la luce, poi si avvicinò alla grande finestra
e scostò la tenda.
La luce del giorno era ancora fioca e non brillante , ma il cielo pulito
e limpido faceva presagire una buona giornata.
- Accomodati, accomodati pure. Il tempo di fare una doccia e sono completamente
a tua disposizione. - disse Vittorio, prima di sparire dalla vista del
giovane.
George Stone aveva mandato un suo breve racconto al grande Vittorio,
scrittore affermato; ormai un uomo appagato ed importante.
- Forse avrà molti impegni, o si alzerà presto, o forse
sono
tutti così un po' strambi gli scrittori famosi. - pensò
mentre cercava di stare il più comodo possibile sul divano circolare
. Magari per guardare meglio lo scenario magnifico di Roma ,che si svegliava,
di lassù.
Se si alzava poteva vedere la scalinata di Trinità dei Monti,
o il bel cupolone di Michelangelo.
La casa di Vittorio non doveva essere molto grande: forse c'era una
camera da letto, e un cucinino, e quella bella grande stanza. Forse
se andava a curiosare fuori avrebbe scoperto una grande terrazza.
- Hai fatto colazione? Caffè, cornetti, latte. No. Bene ci penso
io. Facciamo due passi. Deve essere aperto il bar qui all'angolo. Ci
sono dei cornetti freschi e croccanti
Allora
sì! Oh,
bene. Faremo una colazione abbondante. - , disse Vittorio.
George non ebbe il tempo di dire neanche una parola, abbozzò
un sorriso; poi si mise di nuovo a sedere, dopo che Vittorio gli aveva
fatto un cenno della mano, come per dire di non formalizzarsi tanto.
Vittorio gli apparve qualche istante dopo vestito in modo impeccabile.
Le scalinate di piazza di Spagna erano ancora vuote dalla gente che
di solito assiepava i suoi gradini per ammirare Roma. Vittorio salutò
il giornalaio e chiese "La Repubblica". Sulla prima pagina
c'era il triste addio a Fellini. E si parlava di "De Benedetti"(noto
industriale e patron dell'Olivetti) davanti ai magistrati. Vittorio
lesse i titoli della prima pagina, ne sfogliò qualche altra,
ma non commentò.
- Bene. Siamo quasi arrivati. Eccolo
il nostro bar. - , disse
al suo giovane amico, prendendolo sotto il braccio.
George ancora una volta non replicò. Si lasciò trascinare
da Vittorio forse ancora frastornato di vivere quei momenti e di stare
a colazione con il grande scrittore.
Un momento magico, eccezionale.
Si misero a sedere in un angolo appartato del bar. Il cameriere portò
una brocca piena di caffè ed un'altra piena di latte caldo.
La colazione era abbondante. Vittorio incominciò ad inzuppare
il cornetto caldo e croccante, pieno di crema, nel suo caffelatte.
Ne mangiò due. George, invece preferì solo bere il caffè.
- Fumi? - , chiese Vittorio, offrendo il suo pacchetto di sigarette
a George, dopo aver mandato giù l'ultimo sorso di caffelatte.
- No, grazie. Non fumo. - , rispose George.
- Uh,peccato. E' uno dei vizi che ti fanno ancora sentire vivo. Ho provato,
sai, a smettere. ma è durato poco. Anche il medico mi dice che
fumare fa molto male, ma a questo punto chi se ne frega. - , disse Vittorio,
accendendosi una sigaretta e gustando la prima boccata di fumo che gli
attraversava la faringe per annidarsi nei polmoni ed uscire poi fuori
in una grande nuvola.
- Bene, bene. Allora tu vuoi
togliermi il mestiere. Sì.
Vuoi togliermi il lavoro. Sarà pur sempre un mio concorrente
o no? . -
- Ma io
!- , borbottò George, che ebbe una vampata di calore
al viso.
- Ma sì! Certo. Ho letto il tuo lavoro. Molto bene, mio caro
giovanotto. Molto bene. Lo sai che scrivi bene. Hai un certo modo di
descrivere i personaggi che definirei geniale. -
- Oh, la ringrazio. Veramente dice. Veramente dice che . . . -
- Certo. Va bene. Ma io vorrei
parlarti un po'. Vorrei farti capire
tante cose
Tu pensi che la vita di uno scrittore sia brillante,
appassionante; eppure quante sofferenze
sai! Io ti ho fatto venire
qua di mattino presto per parlarti
Sì, certo anche del tuo
lavoro, ma prima tu mi devi ascoltare. Devi sentire, devi capire. Allora
io potrei poi anche aiutarti a fare questo mestiere, potrei anche presentarti
al mio editore, potrei aprirti molte porte. Ma tu prima mi deve ascoltare.
. . Mi devi ascoltare. Devi entrare in me, devi capire. -
George non riusciva ancora a comprendere, ma forse si. Aveva capito.
Ed era un grande onore per lui, un piccolo impiegato di provincia ascoltare
le confidenze del grande Vittorio, scrittore affermato , i cui libri
andavano letteralmente a ruba.
- Oh, sono le sei e mezza. Se facciamo in tempo quello è ancora
lì. Ugo! Ugo!. . . Preparami la solita bottiglia piena di caffè
e latte caldo: un litro. Si. Ah, prepara per piacere anche tre cornetti
e due ciambelle. Uh, bene. Allora andiamo. - , disse Vittorio, che continuò
a fumare fino alla cicca.
- Adesso ti faccio vedere un posto. Devi venire, mio caro George. Devi
vedere la vita così com'è. - , disse, infine, alzandosi
dalla sedia.
Vittorio prese il pacco con i cornetti caldi e la bottiglia da un litro
di latte e caffè caldo.
Uscirono insieme dal bar. Pochi minuti ed erano già nella macchina
di Vittorio.
Attraversarono piazza di Spagna, poi via del Corso fino a piazza Venezia.
Il monumento a Vittorio Emanuele era proprio lì davanti ai loro
occhi con tutto quel marmo bianco.
Ma fu un attimo.
Poi in poco tempo attraversarono via dei Fori imperiali. George poté
notare solo di sfuggita che davanti ai suoi occhi c'era il Colosseo,
perché subito Vittorio girò per via di S. Gregorio per
arrivare a piazza di Porta Capena.
Era un piacere girare per Roma a quell'ora del giorno, senza quella
marea di macchine che ti ostacola ad ogni passo.
Finalmente arrivarono alla stazione di Roma Ostiense.
Quando si fermò con la macchina potevano forse essere le sette
meno una manciata di minuti.
Vittorio si diresse con passo fermo e sicuro verso un posto appartato
della stazione.
Un po' riparato dalle possenti mura mussoliniane c'era accartocciato
a terra un ammasso di carne, avvolto da giornali e cartoni.
- E' Bud, l'americano. - , disse Vittorio, che teneva in mano ben ferme,
come un trofeo, la bottiglia di latte.
- E' americano
degli Stati Uniti? - , chiese George, meravigliandosi
che uno di un paese così lontano fosse finito lì.
- Ma no! E' Italiano. E' uno dei nostri. Lo chiamano così perché
le prime volte che mise piede a Roma per fare l'attore diceva che era
di New York. Non ha avuto fortuna. Avrà fatto qualche comparsa
a Cinecittà. -
- Lei
lo conosce? -
- Ehi!
Lei, lei, ma dammi del tu. Certo lo conosco. Fu la prima
persona che incontrai quando misi piede a Roma, tanti anni fa. -
Vittorio si avvicinò. Lo toccò ad una spalla. Cercò
di svegliarlo.
- Bud!
Bud. Ti ho portato il caffè. Dai, svegliati! Lo sai
che ora è? -
Bud incominciò a muoversi.
Si rigirò.
Si tolse dalla faccia il giornale e cercò di visualizzare bene
le persone che aveva davanti.
Aveva la barba, ed una pelle tutta ringrinzita, ma nei suoi occhi non
c'era alcun segno di paura, non c'era alcun segno di disperazione. I
suoi occhi esprimevano tutta la sua condizione, ma non c'era rassegnazione
in quella luce, quasi avesse la certezza che qualcosa o qualcuno avrebbe
un giorno pensato un po' anche a lui.
- Oh, sei tu Vittorio. Quanto tempo
quanto tempo che non ti fai
vedere. - , disse Bud, come se si trovasse su un letto comodo e soffice
e fosse stato svegliato perché qualcuno aveva acceso una luce
nella stanza.
- Ho avuto da fare. Ma
ora pensiamo un po' anche a te. Prendi.
Ci sono tre cornetti ed alcune ciambelle, e questo è latte caldo.
Dai bevi! Bevi. E' caldo il latte. C'è anche il caffè.
-
A George quella scena fece un po' male. Sì. Lui aveva visto tante
volte i barboni o tipi come Bud dormire sotto i porticati o nelle stazioni,
ma non ne aveva mai visto bene in faccia uno. Ora poi che Vittorio gli
porgeva la bottiglia di latte sulla bocca, gli sembrò quasi che
si stesse abbeverando un animale.
Bud stava disteso a terra, aveva i pantaloni tutti stropicciati la cui
lunghezza arrivava fino a metà gamba, non portava i calzini e
le scarpe erano rotte all'estremità.
Aveva i capelli bianchi, quasi unti e a mazzetti sparsi sul suo cranio.
Le mani erano secche e scheletriche e sulla fronte aveva un piccola
tumefazione. George poté vedere le chiazze di sporco, che Bud
aveva sulle gambe, e le striature di pelle con sangue coagulato, dovute,
probabilmente, alle sue unghie lunghe, e al bisogno di grattarsi.
Chissà da quanto tempo non si faceva una doccia calda.
George voltò lo sguardo disgustato da un'altra parte.
- Non ti devi voltare, George! Devi vedere, devi vedere. - gridò,
quasi con rabbia, Vittorio. - Siamo in una società civile. Il
nostro è un mondo civile, e poi ci sono tanti Bud in questo paese
che non hanno certo qualcuno come me che gli porta del latte caldo.
Lui almeno è fortunato. ..E' vero Bud, che sei fortunato? Dillo
anche tu a questo nostro caro amico quanto sei fortunato. -
- Certo, sono fortunato. Sapessi da quando tempo ho desiderato un sorso
caldo di latte. Oh, grazie Vittorio. -
Bud si mise a sedere con le spalle appoggiate al muro granitico della
stazione. Prese in mano il pacco dei cornetti, lo aprì ed incominciò
a mangiare. Bastarono pochi morsi che i cornetti già non esistevano
più.
Vittorio stava piegato sulle ginocchia. Mise la bottiglia di latte,
ormai mezza vuota vicino al povero barbone.
- Ehi, Bud! Racconta, raccontaci un po' quando stavi con Elisabetta.
Quella bella attrice americana. -
- Elisabetta, Elisabetta era bella. Uh
non ricordo. - , disse Bud
che cercava nei meandri della sua memoria quel nome.
- Ma come! Hai già dimenticato Elizabeth Taylor? Me ne hai parlato
per così tanto tempo. -
- Oh, sì! Bella, bella Elisabetta Tailora. Oh, che tempi!- ,
rispose Bud che non si ricordava affatto di quella donna, ma non voleva
deludere Vittorio, il suo amico.
- Che facevi in quel film? Si chiamava "Cleopatra", se non
ricordo male. Elizabeth Taylor era Cleopatra e tu stavi
-
- Stavo a due passi da lei. Ero un guerriero egiziano. Quanto era bella
Elisabetta Tailora. - , sospirò Bud.
- Be', ora devo proprio andare. Oh, ti presento un amico. Questi è
George. Chissà che tu non possa essere il suo portafortuna come
lo sei stato per me. Ti ricordi, tanti anni fa. Eri giovane allora.
Ti diedi una sigaretta. Te lo ricordi ancora? -
- Lo ricordo. Mi ricordo bene. -
- Be', ciao. Ciao. Ci vediamo presto. Tieni. E' un pacchetto di Malboro.
E queste sono cinquantamila lire, per le piccole spese. Stai certo che
non ti abbandonerò. - , tagliò corto.
Era fatto così . Non amava tanto i convenevoli, e ti lasciava
di stucco nel bel mezzo di una conversazione.
Vittorio salì in macchina.
Rimise in moto e partì senza guardare in faccia George.
Si vedeva che era contento, si vedeva che era felice; lo si vedeva da
come accese la sigaretta e dal sorriso che fece.
George si mise in un angolo della macchina.
Non parlò.
Avrebbe voluto dire qualche cosa, ma non parlò.
- Bud sarà contento. Almeno per questo giorno non dovrà
cercarsi da mangiare. Eh, se penso che lui non ha mai conosciuto Elizabeth
Taylor. Ma devi sapere però che qualche parte di comparsa l'ha
fatta. - , disse Vittorio.
- E lei
Già, tu. Pensi di aver fatto qualcosa di buono?
- , disse George, quasi non sapendo lui stesso come gli erano uscite
di bocca quelle parole.
- Io non penso niente. Io non devo dare niente. Io ho fatto quello che
mi andava di fare
Sì, lo so a cosa pensi. Lo so. Pensi che
con tutti i soldi che ho avrei potuto fare di più, molto di più,
avrei potuto dargli dei vestiti, avrei potuto dargli molto di più
delle cinquantamila lire, avrei potuto dargli una casa. E' questo che
intendi dire? - , disse, un po' stizzoso, Vittorio, mordicchiando la
sigaretta che aveva in bocca.
- Forse. -
- E allora a questo punto dovrei andare alla stazione Termini, dovrei
prendere tutti quelli che si trovano lì, portarli con me. E poi
dovrei ritornare un'altra volta per riprendere quelli che li hanno rimpiazzati.
Quanti soldi occorrerebbero? Oh, certo. Potrei veramente fare di più,
. . . potrei veramente dare di più. E gli altri! Che cosa fanno
gli altri? -
George non rispose. Si limitò a guardare per un po' le varie
espressioni del viso di Vittorio, poi volse lo sguardo altrove.
Vittorio si sentiva agitato, quasi che il suo giovane amico scrittore
gli avesse rinfacciato una verità che nascondeva a se stesso.
Lui non s'era mai impegnato per gli altri.
Sì, aveva dato qualche soldo in beneficenza, o forse aveva dato
qualcosa di più. Ma non bastava.
Girovagò ancora un po' per la città senza una precisa
meta, preoccupandosi però di non allontanarsi molto dalla sua
casa, per non trovarsi imbottigliato da un momento all'altro nel traffico
congestionato di Roma, che già aveva preso i suoi ritmi giornalieri;
poi pensò che faceva bene a portare George nei pressi della stazione
Termini.
Parcheggiò la sua macchina e a piedi arrivarono in via Castelfidardo.
- Vedi. Questo è stato il mio primo rifugio. La mia prima dimora
quando sono venuto per la prima volta a Roma. Alloggiavo in una pensione.
Ma no. Ora che ricordo bene stavo con una famiglia. Affittavano delle
camere. No. Non pensare che avessi una stanza tutta per me. C'erano
altre due persone in quella stanza, ma per uno come me poteva andar
bene. -
Era tanti anni fa
copywrite 2005
tutti i diritti riservati a Raffaele Crispino
|